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Racconti, leggende e fiabe di Natale .....

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Racconti,  leggende e  fiabe di Natale ..... Empty Racconti, leggende e fiabe di Natale .....

Messaggio  Sarah Mer Nov 18, 2009 7:50 pm

IL DONO DI NATALE
di Grazia Deledda

I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia.
Era una festa eccezionale, per loro, quell'anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco.
Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei.
E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri.
Avevano mandato avanti il fratello più piccolo, Felle, un bel ragazzo di undici anni, dai grandi occhi dolci, vestito di pelli lanose come un piccolo San Giovanni Battista; portava sulle spalle una bisaccia, e dentro la bisaccia un maialetto appena ucciso che doveva servire per la cena.
Il piccolo paese era coperto di neve; le casette nere, addossate al monte, parevano disegnate su di un cartone bianco, e la chiesa, sopra un terrapieno sostenuto da macigni, circondata d'alberi carichi di neve e di ghiacciuoli, appariva come uno di quegli edifizi fantastici che disegnano le nuvole.
Tutto era silenzio: gli abitanti sembravano sepolti sotto la neve.
Nella strada che conduceva a casa sua, Felle trovò solo, sulla neve, le impronte di un piede di donna, e si divertì a camminarci sopra. Le impronte cessavano appunto davanti al rozzo cancello di legno del cortile che la sua famiglia possedeva in comune con un'altra famiglia pure di pastori ancora più poveri di loro. Le due casupole, una per parte del cortile, si rassomigliavano come due sorelle; dai comignoli usciva il fumo, dalle porticine trasparivano fili di luce.
Felle fischiò, per annunziare il suo arrivo: e subito, alla porta del vicino si affacciò una ragazzina col viso rosso dal freddo e gli occhi scintillanti di gioia.
- Ben tornato, Felle.
- Oh, Lia! - egli gridò per ricambiarle il saluto, e si avvicinò alla porticina dalla quale, adesso, con la luce usciva anche il fumo di un grande fuoco acceso nel focolare in mezzo alla cucina.
Intorno al focolare stavano sedute le sorelline di Lia, per tenerle buone la maggiore di esse, cioè quella che veniva dopo l'amica di Felle, distribuiva loro qualche chicco di uva passa e cantava una canzoncina d'occasione, cioè una ninnananna per Gesù Bambino.
- Che ci hai, qui? - domandò Lia, toccando la bisaccia di Felle. - Ah, il porchetto. Anche la serva del fidanzato di tua sorella ha già portato il regalo. Farete grande festa voi, - aggiunse con una certa invidia; ma poi si riprese e annunziò con gioia maliziosa: - e anche noi!
Invano Felle le domandò che festa era: Lia gli chiuse la porta in faccia, ed egli attraversò il cortile per entrare in casa sua.
In casa sua si sentiva davvero odore di festa: odore di torta di miele cotta al forno, e di dolci confezionati con buccie di arance e mandorle tostate. Tanto che Felle cominciò a digrignare i denti, sembrandogli di sgretolare già tutte quelle cose buone ma ancora nascoste.
La sorella, alta e sottile, era già vestita a festa; col corsetto di broccato verde e la gonna nera e rossa: intorno al viso pallido aveva un fazzoletto di seta a fiori; ed anche le sue scarpette erano ricamate e col fiocco: pareva insomma una giovane fata, mentre la mamma, tutta vestita di nero per la sua recente vedovanza, pallida anche lei ma scura in viso e con un'aria di superbia, avrebbe potuto ricordare la figura di una strega, senza la grande dolcezza degli occhi che rassomigliavano a quelli di Felle.
Egli intanto traeva dalla bisaccia il porchetto, tutto rosso perché gli avevano tinto la cotenna col suo stesso sangue: e dopo averlo consegnato alla madre volle vedere quello mandato in dono dal fidanzato. Sì, era più grosso quello del fidanzato: quasi un maiale; ma questo portato da lui, più tenero e senza grasso, doveva essere più saporito.
- Ma che festa possono fare i nostri vicini, se essi non hanno che un po' di uva passa, mentre noi abbiamo questi due animaloni in casa? E la torta, e i dolci? - pensò Felle con disprezzo, ancora indispettito perché Lia, dopo averlo quasi chiamato, gli aveva chiuso la porta in faccia.

Poi arrivarono gli altri fratelli, portando nella cucina, prima tutta in ordine e pulita, le impronte dei loro scarponi pieni di neve, e il loro odore di selvatico. Erano tutti forti, belli, con gli occhi neri, la barba nera, il corpetto stretto come una corazza e, sopra, la mastrucca [1].
Quando entrò il fidanzato si alzarono tutti in piedi, accanto alla sorella, come per far davvero una specie di corpo di guardia intorno all'esile e delicata figura di lei; e non tanto per riguardo al giovine, che era quasi ancora un ragazzo, buono e timido, quanto per l'uomo che lo accompagnava. Quest'uomo era il nonno del fidanzato. Vecchio di oltre ottanta anni, ma ancora dritto e robusto, vestito di panno e di velluto come un gentiluomo medioevale, con le uose di lana sulle gambe forti, questo nonno, che in gioventù aveva combattuto per l'indipendenza d'Italia, fece ai cinque fratelli il saluto militare e parve poi passarli in rivista.
E rimasero tutti scambievolmente contenti.
Al vecchio fu assegnato il posto migliore, accanto al fuoco; e allora sul suo petto, fra i bottoni scintillanti del suo giubbone, si vide anche risplendere come un piccolo astro la sua antica medaglia al valore militare. La fidanzata gli versò da bere, poi versò da bere al fidanzato e questi, nel prendere il bicchiere, le mise in mano, di nascosto, una moneta d'oro.
Ella lo ringraziò con gli occhi, poi, di nascosto pure lei, andò a far vedere la moneta alla madre ed a tutti i fratelli, in ordine di età, mentre portava loro il bicchiere colmo.
L'ultimo fu Felle: e Felle tentò di prenderle la moneta, per scherzo e curiosità, s'intende: ma ella chiuse il pugno minacciosa: avrebbe meglio ceduto un occhio.
Il vecchio sollevò il bicchiere, augurando salute e gioia a tutti; e tutti risposero in coro.
Poi si misero a discutere in un modo originale: vale a dire cantando. Il vecchio era un bravo poeta estemporaneo, improvvisava cioè canzoni; ed anche il fratello maggiore della fidanzata sapeva fare altrettanto.
Fra loro due quindi intonarono una gara di ottave, su allegri argomenti d'occasione; e gli altri ascoltavano, facevano coro e applaudivano.

Fuori le campane suonarono, annunziando la messa.
Era tempo di cominciare a preparare la cena. La madre, aiutata da Felle, staccò le cosce ai due porchetti e le infilò in tre lunghi spiedi dei quali teneva il manico fermo a terra.
- La quarta la porterai in regalo ai nostri vicini - disse a Felle: - anch'essi hanno diritto di godersi la festa.
Tutto contento, Felle prese per la zampa la coscia bella e grassa e uscì nel cortile.
La notte era gelida ma calma, e d'un tratto pareva che il paese tutto si fosse destato, in quel chiarore fantastico di neve, perché, oltre al suono delle campane, si sentivano canti e grida.
Nella casetta del vicino, invece, adesso, tutti tacevano: anche le bambine ancora accovacciate intorno al focolare pareva si fossero addormentate aspettando però ancora, in sogno, un dono meraviglioso.
All'entrata di Felle si scossero, guardarono la coscia del porchetto che egli scuoteva di qua e di là come un incensiere, ma non parlarono: no, non era quello il regalo che aspettavano. Intanto Lia era scesa di corsa dalla cameretta di sopra: prese senza fare complimenti il dono, e alle domande di Felle rispose con impazienza:
- La mamma si sente male: ed il babbo è andato a comprare una bella cosa. Vattene.
Egli rientrò pensieroso a casa sua. Là non c'erano misteri né dolori: tutto era vita, movimento e gioia. Mai un Natale era stato così bello, neppure quando viveva ancora il padre: Felle però si sentiva in fondo un po' triste, pensando alla festa strana della casa dei vicini.

Al terzo tocco della messa, il nonno del fidanzato batté il suo bastone sulla pietra del focolare.
- Oh, ragazzi, su, in fila.
E tutti si alzarono per andare alla messa. In casa rimase solo la madre, per badare agli spiedi che girava lentamente accanto al fuoco per far bene arrostire la carne del porchetto.
I figli, dunque, i fidanzati e il nonno, che pareva guidasse la compagnia, andavano in chiesa. La neve attutiva i loro passi: figure imbacuccate sbucavano da tutte le parti, con lanterne in mano, destando intorno ombre e chiarori fantastici. Si scambiavano saluti, si batteva alle porte chiuse, per chiamare tutti alla messa.
Felle camminava come in sogno; e non aveva freddo; anzi gli alberi bianchi, intorno alla chiesa, gli sembravano mandorli fioriti. Si sentiva insomma, sotto le sue vesti lanose, caldo e felice come un agnellino al sole di maggio: i suoi capelli, freschi di quell'aria di neve, gli sembravano fatti di erba. Pensava alle cose buone che avrebbe mangiato al ritorno dalla messa, nella sua casa riscaldata, e ricordando che Gesù invece doveva nascere in una fredda stalla, nudo e digiuno, gli veniva voglia di piangere, di coprirlo con le sue vesti, di portarselo a casa sua.
Dentro la chiesa continuava l'illusione della primavera: l'altare era tutto adorno di rami di corbezzolo coi frutti rossi, di mirto e di alloro: i ceri brillavano tra le fronde e l'ombra di queste si disegnavano sulle pareti come sui muri di un giardino.
In una cappella sorgeva il presepio, con una montagna fatta di sughero e rivestita di musco: i Re Magi scendevano cauti da un sentiero erto, e una cometa d'oro illuminava loro la via.
Tutto era bello, tutto era luce e gioia. I Re potenti scendevano dai loro troni per portare in dono il loro amore e le loro ricchezze al figlio dei poveri, a Gesù nato in una stalla; gli astri li guidavano; il sangue di Cristo, morto poi per la felicità degli uomini, pioveva sui cespugli e faceva sbocciare le rose; pioveva sugli alberi per far maturare i frutti.
Così la madre aveva insegnato a Felle e così era.
- Gloria, gloria - cantavano i preti sull'altare: e il popolo rispondeva:
- Gloria a Dio nel più alto dei cieli.
E pace in terra agli uomini di buona volontà.
Felle cantava anche lui, e sentiva che questa gioia che gli riempiva il cuore era il più bel dono che Gesù gli mandava.

All'uscita di chiesa sentì un po' freddo, perché era stato sempre inginocchiato sul pavimento nudo: ma la sua gioia non diminuiva; anzi aumentava. Nel sentire l'odore d'arrosto che usciva dalle case, apriva le narici come un cagnolino affamato; e si mise a correre per arrivare in tempo per aiutare la mamma ad apparecchiare per la cena. Ma già tutto era pronto. La madre aveva steso una tovaglia di lino, per terra, su una stuoia di giunco, e altre stuoie attorno. E, secondo l'uso antico, aveva messo fuori, sotto la tettoia del cortile, un piatto di carne e un vaso di vino cotto dove galleggiavano fette di buccia d'arancio, perché l'anima del marito, se mai tornava in questo mondo, avesse da sfamarsi.
Felle andò a vedere: collocò il piatto ed il vaso più in alto, sopra un'asse della tettoia, perché i cani randagi non li toccassero; poi guardò ancora verso la casa dei vicini. Si vedeva sempre luce alla finestra, ma tutto era silenzio; il padre non doveva essere ancora tornato col suo regalo misterioso.

Felle rientrò in casa, e prese parte attiva alla cena.
In mezzo alla mensa sorgeva una piccola torre di focacce tonde e lucide che parevano d'avorio: ciascuno dei commensali ogni tanto si sporgeva in avanti e ne tirava una a sé: anche l'arrosto, tagliato a grosse fette, stava in certi larghi vassoi di legno e di creta: e ognuno si serviva da sé, a sua volontà.
Felle, seduto accanto alla madre, aveva tirato davanti a sé tutto un vassoio per conto suo, e mangiava senza badare più a nulla: attraverso lo scricchiolìo della cotenna abbrustolita del porchetto, i discorsi dei grandi gli parevano lontani, e non lo interessavano più.
Quando poi venne in tavola la torta gialla e calda come il sole, e intorno apparvero i dolci in forma di cuori, di uccelli, di frutta e di fiori, egli si sentì svenire: chiuse gli occhi e si piegò sulla spalla della madre. Ella credette che egli piangesse: invece rideva per il piacere.

Ma quando fu sazio e sentì bisogno di muoversi, ripensò ai suoi vicini di casa: che mai accadeva da loro? E il padre era tornato col dono?
Una curiosità invincibile lo spinse ad uscire ancora nel cortile, ad avvicinarsi e spiare. Del resto la porticina era socchiusa: dentro la cucina le bambine stavano ancora intorno al focolare ed il padre, arrivato tardi ma sempre in tempo, arrostiva allo spiedo la coscia del porchetto donato dai vicini di casa.
Ma il regalo comprato da lui, dal padre, dov'era?
- Vieni avanti, e va su a vedere - gli disse l'uomo, indovinando il pensiero di lui.
Felle entrò, salì la scaletta di legno, e nella cameretta su, vide la madre di Lia assopita nel letto di legno, e Lia inginocchiata davanti ad un canestro.
E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti.
- È il nostro primo fratellino - mormorò Lia. - Mio padre l'ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il "Gloria". Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte.

[1] È una sopraveste di pelle d'agnello, nera, con la lana, che tiene molto caldo.


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Messaggio  Sarah Mer Nov 18, 2009 7:51 pm

Il Natale di Martin

di Leone Tolstoj


In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.
Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.
Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati - le disse.
Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?
- Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.


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Messaggio  golpedesuerte Mer Nov 18, 2009 7:53 pm

La leggenda di babbo Natale


Babbo Natale sembra realmente esistito e si tratta di un personaggio cristiano appartenente all atradizione medievale: San Nicola di Mira.
San Nicola nacque a Patara (Turchia) ed apparteneva ad una ricca famiglia del luogo. Divenne vescovo di Mira (in Licia) nel VI secolo D.C.
Quando morì e le sue spoglie furono deposte a Mira e nel 1087 furono trafugate da un gruppo di cavalieri italiani camuffati da mercanti e trasportate a Bari.
Tuttora tali spoglie sono conservate nella famosa città pugliese di cui San Nicola divenne il santo protettore.
Si narra che San Nicola regalava cibo alle famiglie meno abbienti calandoglielo anonimamente attraverso i camini o le loro finestre.
Da qui nasce la credenza di un arzillo vecchietto che, dopo aver fabbricato giocattoli per bambini con l'ausilio di una slitta trainata dalle renne, distribuisce ii regali calandosi dal camino.
In ogni caso San Nicola divenne nella fantasia popolare "portatore di doni", compito eseguito grazie ad un asinello nella notte del 6 dicembre (S. Nicola, appunto) o addirittura nella notte di natale.
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Messaggio  Sarah Mer Nov 18, 2009 7:57 pm

LA STELLA DI NATALE

Tanto, tanto tempo fa nel cielo splendevano delle stelle luminose e bellissime. Solamente una era piccinina e timida e la sua tenera e fioca luce si intravedeva appena!! Le altre stelle la canzonavano e la prendevano in giro dicendo: "Ah, tu sei una minuscola stella e di sicuro in terra nessuno ti vede; ben presto una folata di vento spegnerà Ia tua debole luce e tu non esisterai più per nessuno ". Invece tutti i bambini, sulla terra, ammiravano quella stellina che era la loro preferita e che metteva nel loro cuoricino tanto calore e tanto amore. Anche il vento, quando le era accanto, soffiava adagio per paura di spegnerla e le altre stelle gelose e superbe si arrabbiavano. Decisero di farle un sacco di dispetti e la poveretta, stanca e triste, abbandonò il cielo e scese sulla terra. Ad un certo punto dalla finestra di una capanna misera e spoglia scorse un vecchietto, che aveva molto fred-do e era ammalato. La stellina, senza farsi notare, passò dal buco della serratura, si avvicinò lentamente all'anziano e si accoccolò ai piedi del suo letto. Subito egli si sentì invadere da un calore che gli saliva dalle estremità fino alla testa. Il suo viso pallido e scarno prese colore ed alla stellina parve che, nella penombra. sorridesse. Se ne andò via senza farsi vedere e riprese il suo cammino. D'improvviso sentì un bambino che si lamentava e si rigirava nel letto, non riusciva ad addormentarsi, perché nel buio la sua fantasia si scontrava con fantasmi ed assassini. La stellina si appoggiò delicatamente sul comodino ed il bambino appena la vide non ebbe più paura: essa brillava allegramente ed egli si sentì felice e tranquillo. I suoi occhietti si fecero sempre più pesanti e Si addormentò profondamente sognando cose liete e divertenti. La stellina usci in punta di piedi decisa a proseguire il suo cammino senza fermarsi più per nessuno, ma era troppo buona e quando sentì i lamenti di una donna non poté fare a meno di avvicinarsi per consolarla. Era una vecchia vedova alla quale era morto il marito, chiusa nel suo dolore, non faceva che piangere e scrivere poesie tristissime che spezzavano il cuore. Pensava che Dio, permettendo un dolore così, fosse crudele e cattivo. La stellina le si mise accanto e con tutto il suo splendore e la sua vitalità le fece capire che aveva sbagliato: con tutta Ia sua luminosità fece trasparire gli aspetti positivi della vita e la vedova, pentita, si sentì leggera come se quell'essere minuscolo le avesse tolto un peso enorme che le impediva di amare: pianse di felicità. La stellina si sentì commossa ed orgogliosa, ma non si vantava affatto e molto dignitosamente se ne andò. Era un p0' malinconica perché avrebbe dovuto tornare in cielo. Cercava di non ascoltare le altre stelle e di amarle ugualmente anche se la deridevano. Si lasciò andare alto sconforto e pianse un po': le sue lacrime dorate cadevano al suolo con un leggero tintinnio. In quello stesso istante un bagliore fortissimo ed immenso la travolse e sentì una voce rimbombante intorno: quella di Dio: "Stellina ti voglio premiare per la tua bontà e per il tuo coraggio, fra tutte sarai la stella più bella e domani guiderai i Re Magi e veglierai sulla capanna quando nascerà Gesu". Gli angeli cantarono dolcemente e la stella Si trasformò in una enorme e lucente palla di fuoco con una coda maestosa: la stella cometa.


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Messaggio  Sarah Mer Nov 18, 2009 7:59 pm

la leggenda del vischio
C'era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva piu' nessun amico. Per tutta la vita era stato avido e avaro, aveva sempre anteposto il guadagno all'amicizia e ai rapporti umani. L'andamento dei suoi affari era l'unica cosa che gli importava. Di notte dormiva pochissimo, spesso si alzava e andava a contare il denaro che teneva in casa, nascosto in una cassapanca.
Per avere sempre piu' soldi, a volte si comportava in modo disonesto e approfittava della ingenuita' di alcune persone. Ma tanto a lui non importava, perche' non andava mai oltre le apparenze.
Non voleva conoscere quelli con i quali faceva affari. Non gli interessavano le loro storie e i loro problemi. E per questo motivo nessuno gli voleva bene.
Una notte di dicembre, ormai vicino a Natale, il vecchio mercante non riusciva a dormire e dopo aver fatto i conti dei guadagni, decise di uscire a fare una passeggiata.
Comincio' a sentire delle voci e delle risate, urla gioiose di bambini e canti.
Penso' che di notte era strano sentire tanto chiasso in paese. Si incuriosi' perche' non aveva ancora incontrato nessuno, nonostante voci e rumori sembrassero molto vicini.
A un certo punto comincio' a sentire qualcuno che pronunciava il suo nome, chiedeva aiuto e lo chiamava fratello. L'uomo non aveva fratelli o sorelle e si stupi'.
Per tutta la notte, ascolto' le voci che raccontavano storie tristi e allegre, vicende familiari e d'amore. Venne a sapere che alcuni vicini erano molto poveri e che sfamavano a fatica i figli; che altre persone soffrivano la solitudine oppure che non avevano mai dimenticato un amore di gioventu'.
Pentito per non aver mai capito che cosa si nascondeva dietro alle persone che vedeva tutti i giorni, l'uomo comincio' a piangere.
Pianse cosi' tanto che le sue lacrime si sparsero sul cespuglio al quale si era appoggiato.
E le lacrime non sparirono al mattino, ma continuarono a splendere come perle.
Era nato il vischio.


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Messaggio  golpedesuerte Mer Nov 18, 2009 8:02 pm

Leggende di Natale in FRANCIA
In Francia i bambini dispongono le loro scarpe ordinatamente, poiché Gesù Bambino passerà la notte del 24 a riporre i suoi doni dentro di esse. Addobberà anche l'albero con frutta e dolci.
E' tradizione accendere un ceppo di legna per scaldare il Bambino che gira nella notte fredda. Da questa usanza, deriva anche uno dei dolci natalizi più diffusi, ovvero la bùche de Noêl.
Il presepio in Francia è molto curato; sono particolarmente famosi i presepi della Provenza, composti da statuine d'argilla vestite con costumi realizzati a mano, molto precisi nei dettagli e realistici, chiamati Santons.


Leggende di Natale in POLONIA
In Polonia, la vigilia di Natale è chiamata Festa della Stella, e la tradizione vuole che, sino a quando non compare in cielo la prima stella, non si debba iniziare la cena. Le famiglie polacche celebrano il Natale con un pasto di 12 portate.
Si lascia sempre un po' di spazio in tavola, in caso arrivi un ospite inatteso. In molte case ancora oggi si mettono dei covoni di grano nei quattro angoli di una stanza, in memoria della stalla dove nacque Gesù Bambino.



Leggende di Natale in SPAGNA
In Spagna il giorno più festeggiato nel periodo natalizio è il 28 dicembre, giorno in cui arrivano i los Reyes, i Re Magi. A cavallo o su carri sfilano per le città e distribuiscono dolci e caramelle. La figura di Babbo Natale è meno sentita.
Nei presepi spagnoli alle classiche statuine si affiancano quelle di Tio, un tronchetto d'albero che, se scosso, sprigiona dolcetti e quella di Caganer, un porta fortuna natalizio.



Leggende di Natale in GERMANIA
In Germania i festeggiamenti di Natale iniziano presto, ovvero l'11 novembre, giorno di San Martino. E' tradizione costruire per quel giorno delle lanterne, che i bambini porteranno in processione, oppure verranno messe nei cimiteri, e che servono ad illuminare la strada al santo.
Durante il periodo dell'Avvento i bambini hanno nelle loro camerette dei calendari con 24 finestrelle. Ogni giorno aprono una finestrella e promettono di compiere una buona azione nella giornata.
Il 6 dicembre poi arriva San Nicola a portare dolci, cioccolato e dolci speziati come i Lebkuchen o i Christollen.
La notte del 24 infine arriva Gesù Bambino (o Babbo Natale) a portare i tanto attesi doni. Le case sono addobbate a festa con ghirlande e candele, è usanza fare pasti ricchi e bere vino speziato.
A Rothenburg ob der Tauber, un piccolo paesino tedesco c'è un museo dedicato al Natale, molto caratteristico e curato, che sta aperto tutto l'anno.



Leggende di Natale in INGHILTERRRA
In Inghilterra l'albero di Natale la fa da padrone tra le varie decorazioni, anche a Londra è tradizione addobbare un altissimo albero allestito all'aperto con luci, nastri e ghirlande.
La notte del 24 Babbo Natale porta i doni ai bambini, lasciandoli in un grosso sacco sotto l'albero. I bimbi, per ringraziarlo, lasciano sul tavolo della cucina un bicchiere di latte e un pezzo di dolce per lui e una carota per la sua renna e la mattina del 25 aprono i doni. Proprio quel giorno l'atmosfera è festosa ed è usanza riunirsi con le persone care e cucinare un buon pranzo con dolci tipici quale per esempio il Christmas Pudding.
Sono usati per i festeggiamenti anche fuochi d'artificio o mortaretti.


Leggende di Natale in FINLANDIA
In Finlandia, oltre al classico albero di Natale, viene preparato all'esterno delle case un secondo alberello per gli uccellini. Si tratta, infatti, di un covone di grano legato ad un palo e addobbato con semi appetitosi. Anche in altri paesi c'è questo simpatico pensiero verso i piccoli volatili che riempiono con il loro cinguettìo le ore della giornata; ad esempio in Germania, soprattutto nel sud, la gente sparge dei grano sul tetto delle case affinché anche gli uccellini possano far festa il giorno di Natale.



Leggende di Natale in GRECIA
In Grecia la vigilia di Natale viene vissuta tra canti e musiche di tamburelli e triangoli. Ci si scambiano doni, così come al 25 e al 1 gennaio, i quali vengono anche portati come omaggio alle persone più povere.
Tutti insieme si mangiano fichi secchi, dolci, noci e il Chrisopsomo, un tipico pane speziato greco.
I sacerdoti sono soliti passare di casa in casa per la benedizione delle dimore.
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Messaggio  Sarah Gio Nov 19, 2009 2:14 am

La leggenda dei sempreverdi
Nei tempi passati, al termine dell'estate, un uccellino si ferì ad un'ala, restando cosi da solo nel bel mezzo del bosco.
Non potendo più volare, resto' praticamente in balia dell'inverno, che già faceva sentire i suoi primi geli.
Cosi, domando' ad un enorme faggio di potersi rifugiare tra i suoi grandi rami, sperando di poter passare l'inverno al riparo dal cattivo tempo. Ma il faggio, altezzosamente, rifiuto' all'uccellino un piccolo riparo tra le sue fronde.
Intristito, l'esserino continuo' a girovagare nel bosco, trovando di li a poco un grosso castagno e, speranzoso, ripete' la stessa domanda.
Ma anche quest'albero rifiuto' all'uccellino la sua protezione.
Cosi, nuovamente s'incammino nell'oscurità della foresta, alla ricerca di un riparo.
Di li a poco si senti' chiamare:
- Uccellino vieni tra i miei rami, affinché tu possa ripararti dal freddo.
Stupito, l'uccellino si volto' e vedendo che a parlare era stato un piccolo pino, salto' lestamente su uno dei suoi rami.
Subito dopo anche una pianta di ginepro offrì le sue bacche come sostentamento per il lungo inverno. L'uccellino ringrazio' più volte per tale generosità, che gli permise cosi di superare la cattiva stagione.
Dio, avendo osservato tutto, volle ricompensare la generosità del pino e del ginepro, ordinando al vento di non far cadere loro le foglie, e quindi da quel giorno furono "sempreverdi"




racconto del Piemonte
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Messaggio  VANESSA07 Ven Nov 20, 2009 11:47 am

Mi spiaceva interrompre questa deliziosa sequenza con dei commenti, ma non posso evitarli Very Happy

Brave, bella idea, splendido e tenerissimo post, mi sono commossa fino alla lacrime a leggere questi racconti, alcuni conosciuti e altri per me inediti.


cuori
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Messaggio  Sarah Ven Nov 20, 2009 8:53 pm

La Vigilia di Natale



C 'era una volta, alle porte di una città perduta fra sogni di angeli bambini, in un luogo lontano, inaccessibile agli esseri umani, un vecchio albero che si ergeva in una radura di candidi pensieri... immerso nelle foschie di un mattino d'inverno.

In quel tempo, ricordo, che Dicembre iniziava a stendere il tappeto rosso ai primi giorni di vigilia sui sentieri d'anima di quelle creature che, in fondo al loro cuore, credevano davvero agli gnomi, alle fate e alle piccole magie.

Il vecchio albero se ne stava là, tutto infreddolito, con i suoi rami

nudi,a guardare il cielo, carico di neve, che di lì a poco avrebbe preso a scendere leggera sulle sue braccia stanche.eppure una gemma colorata, nulla che gli portasse un po' di quella Festa del Natale. Cominciò allora a singhiozzare col vento che gli passava accanto e quel triste lamento, appena sussurrato, giunse lontano, quasi all'orizzonte della realtà e si posò sul cuore di due bambini addormentati. Fu così che dal sonno di quei due piccoli cuccioli nacque un sogno meraviglioso... che volò, volò fino a lui.

Nello stesso istante, l'albero sentì posarsi sui rami più alti due uccellini e smise di singhiozzare... il loro zampettare sulle sue lunghe braccia gli faceva un po' di solletico e accennò loro un sorriso. Era così tanto tempo che se ne stava lì solo, fu così che si fece coraggio e domandò loro:"Cosa succede per le vie del mondo ? Voi che potete volare fin là, ditemi se ci sono già le luci colorate sugli alberi e se i bambini sono felici... Cancellate, se potete, questa mia lunga solitudine... ".

I due uccellini cominciarono a cinguettare, ma l'albero non riusciva a capire nulla... cercò di prestare più attenzione, ma invano... quei trilli restavano per lui soltanto una melodia meravigliosa e incomprensibile.

"Fra qualche giorno sarà Natale... " continuò allora sospirando "Come vorrei essere anch'io pieno di luci... coperto dei sorrisi dei bambini, sentire quel calore dentro, quella gioia che ho dimenticato... avere un giorno da rincorrere per sempre..."

Gli uccellini smisero di cinguettare e sembrarono sorridergli... fu solo allora che, nel silenzio, il vecchio albero riuscì a capire... a sentire qualcosa che gli arrivò in fondo al cuore, che lo commosse profondamente, tanto che gli sfuggì una lacrima dai mille riflessi dell'amore.

C'era poco tempo... perché i due bimbi, nei loro lettini, si sarebbero svegliati... e, allora, i loro sogni alati, fatti di piume soffici e pieni di quell'incanto che solo i cuori più puri possono abbracciare... sarebbero di nuovo volati via dalle sue braccia... e lui sarebbe restato ancora i compagnia della sua malinconica solitudine.

Fu allora che accadde una cosa davvero insolita, qualcosa di magico... Da lontano, il vecchio albero vide arrivare una strana creatura, avvolta di un manto rosa e azzurro, come d'aurora... I suoi passi erano lenti... quasi si librasse nell'aria... come a non voler sfiorare la terra, addormentata sotto la grigia coperta dell'inverno. Chiunque fosse quella Signora, l'albero capì che stava dirigendosi verso di lui, perché la radura dove tanti e tanti anni prima aveva piantato le sue radici era assai lontana da ogni sentiero e, ormai, solo raramente, qualcuno arrivava più fin là...

Quando la Signora gli fu accanto, il vecchio albero, aiutato da un soffio di vento, cercò di farle un inchino, ma la sua scorza antica gli permise appena di piegare le dita... i suoi rami più alti... Fu allora che lei lo guardò e sorrise.

"Chi sei" mormorò con voce di vento l'albero. "Sono la Vigilia... la Vigilia del Tempo... " e, dicendo quelle parole, aprì le mani e da esse ne uscì una luce così intensa, che per un istante ogni cosa attorno sembrò sparire, offuscata da quell'intenso bagliore.

"Io vado per il mondo a regalare la luce, il sentimento che hai provato... è il mio dono, che riempie di magia ogni attesa... Regalo me stessa, la Vigilia del Tempo alle creature... rendo eterna la loro gioia... - il loro attendere l'attesa... - ".

L'albero non disse nulla... ma la Signora avvertì lo stesso la sua immensa solitudine... scrollò il capo, gli sorrise e continuò: "Con me, questa volta, ho portato per te qualcosa di più... ma è il cuore ed il sogno di quegli eterni bambini che devi ringraziare... ora quegli uccellini voleranno di nuovo verso il loro risveglio, ma questa notte... aspettali ancora ! Torneranno... ed anch'io ci sarò... ".

Riuscì appena a capire quelle ultime parole, che sentì un frullio d'ali allontanarsi... e le sue braccia tornare spoglie... Il vecchio albero non poteva immaginare cosa sarebbe accaduto, ma un profondo senso di dolcezza e di gioia lo attraversò dalle radici ai rami più alti, fino a sfuggire verso il cielo. Anche la Signora era svanita nel nulla e il giorno cominciò a correre veloce, come le nubi sopra di lui, volando sopra la sua chioma spoglia. Quell'attesa fu dolce, rapida come il volo del falco... fu quasi un sorriso... poi, la sera giunse silenziosa, discreta... quasi in punta di piedi.

Il cielo era limpido e l'aria fredda e pungente... l'albero guardò le mille stelle occhieggiare verso l'infinito. Poi, d'improvviso, udì un battere d'ali farsi sempre più vicino, finché sentì di nuovo posarsi sulle sue braccia i due uccellini. Da un raggio di Luna scese la Signora della Vigilia del Tempo... e si fermò ai piedi del vecchio albero... I due uccellini, ad un cenno di quella dolce creatura, presero a tuffarsi nel cielo e a riportare, ad ogni volo, un frammento di stella, per posarlo ora qua ora là sui rami dell'albero.

In poco tempo... quel vecchio tronco divenne l'albero più bello che la Vigilia avesse mai visto... e, quando con un sorriso stava per ringraziare di quel dono meraviglioso... la Signora del Tempo lo fermò e gli disse: "No, non ringraziare me... Questo dono è opera di quei due bimbi, che nei loro sogni, hanno voluto regalarti una vigilia di Natale tutta loro... Ora, io aggiungerò il mio regalo... " e nel pronunciare quelle parole, aprì di nuovo le mani e quella luce che aveva già visto all'alba, uscì di nuovo ed entrò nel tronco, come un alito... linfa d'amore.

"Io... " disse la Signora "...aggiungerò a questa vigilia del Natale... anche la Vigilia dell'Eternità... Da oggi, ogni notte, ogni istante, sarà vigilia... un'eterna vigilia... sarà l'attesa più dolce dei tutti i tuoi desideri. E la tua vita non conoscerà più buio né malinconia. Tutto l'amore che hai sempre regalato al Tempo, oggi il Tempo te lo renderà... "

Nella radura, accanto al vecchio tronco, quella notte... dai petali di un bucaneve scesero stille dai mille colori. Non seppi mai se fu rugiada o se fu pianto... e, da allora, ogni notte... quegli uccellini tornano ad accendere quel cuore con mille luci rubate in cielo... e quell'albero è ancora là... ad aspettare felice, un giorno che non verrà... perché di eterna vigilia è diventata la sua vita.
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Messaggio  Sarah Ven Nov 20, 2009 8:55 pm

Il piccolo Albero di Natale





C’era una volta un piccolo albero di Natale che, quando parlava con mamma albero di Natale e papà albero di Natale, non vedeva l’ora di poter mettersi addosso le palline colorate, i festoni argentati e le lampadine. Sognava ogni notte il suo momento, entrare nel salotto buono, gustarsi i sorrisi gli auguri in famiglia, lasciarsi sfuggire una lacrima di resina dalla contentezza.

E venne finalmente il giorno del piccolo albero di Natale. Venne scelto quasi per caso tra tanti amici alberi di Natale anche loro. Pensava: "Adesso è venuto il mio momento, adesso sono diventato grande". Il viaggio fu lungo, incappucciato di stoffa bagnata per non perdere il verde luminoso dei rami ancora giovani. Tornata la luce, il piccolo albero di Natale si trovò nella casa di una famiglia povera. Niente palline, niente festoni, solo il suo verde scintillante faceva la felicità dei bambini che lo stavano a guardare con gli occhi all’insù, affascinati. Era il loro primo albero di Natale. Subito fu deluso, sperava di poter dominare una sala ricca di regali e di addobbi eleganti.

Ma passarono i giorni e si abituò a quella casa povera ma ricca di amore. Nessuno aveva l’ardire di toccarlo. Venne la sera di natale e furono pochi i regali ai suoi piedi ma tanti i sorrisi di gioia dei bambini che per giorni erano rimasti a guardarli sotto il suo sguardo severo per cercare di indovinare che cosa ci fosse dentro. Venne il pranzo di Natale, niente di speciale. Venne Capodanno, con un brindisi discreto, ma auguri sinceri. E venne anche l’Epifania e il momento di andare via. Questa volta non lo incappucciarono. Lo tolsero dal vaso, gli bagnarono le radici e tutta la famiglia lo accompagnò verso il bosco. Era felice di ritornare con mamma albero di Natale e papà albero di Natale. Passando per la strada vide tanti suoi amici, ancora con le palline colorate e i fili d’oro e d’argento, che lo salutavano. Ma c’era qualcosa di strano, erano tutti nei cassonetti della spazzatura, ricchi e sventurati, piangevano anche loro resina, ma non per la contentezza. Chissà dove sarebbero finiti!

Ora il piccolo albero di Natale è diventato un abete grande e possente, ha visto tanti figli andare in vacanza per le feste. Qualcuno è ritornato, sano o con un ramo spezzato. Lui guarda da lontano la città dove i bambini del suo Natale lo hanno amato e rispettato. Perché è un albero di Natale, albero di Natale tutto l’anno, perché Natale non vuol dire essere buoni e bravi solo il 25 dicembre, perché Natale può essere ogni giorno. Basta volerlo come quel piccolo albero di Natale che ci tiene compagnia sulla montagna, anche se lontano, anche se non lo vediamo.

E c’era una volta e c’è ancora oggi, un albero di Natale. Sempre diverso e sempre uguale, quasi un caro amico di famiglia che si presenta ogni anno per le vacanze, le sue vacanze, da Santa Lucia all’Epifania. Grande, piccolo, verde o dorato, testimone di ogni Natale, un amico con il quale aspettare l’apertura dei regali e l’occasione buona per scambiarsi gli auguri, per fare la pace, per dirsi anche una parola d’amore. E tutti vogliamo bene all’albero di Natale, ogni anno disposti ad arricchire il suo abbigliamento con nuove palline colorate, un puntale illuminato e addobbi d’oro e d’argento. È cresciuto con noi, cambiato ogni anno, sempre più bello agli occhi di chi guarda, occhi di bambino, ma anche occhi di adulto che vuole tornare bambino. Per quei giorni di festa è lui a fare la guardia al focolare, a salutare quando si rientra a casa, a tenere compagnia a chi è solo. Una presenza che conforta, non solo nell’anima. È meglio se l’albero è di quelli con le radici, pronto a dismettere l’albero della festa e a compiere il suo dovere in mezzo ai boschi, a diventare grande, libero e felice.
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Messaggio  Sarah Ven Nov 20, 2009 9:00 pm

NATALE AL FRONTE



Era il 1917, uno dei terribili anni della prima guerra mondiale. Sulle trincee spirava un vento gelido e c'era tanta neve. I soldati si muovevano cauti, la notte era senza luna, ma serena e tutti avevano paura di incontrare delle pattuglie nemiche, perché il nemico era lì davanti a loro.
Ad un tratto un caporale disse sotto voce: «è nato!».
«Eh?» fece un altro senza afferrare l'allusione. «Deve essere la mezzanotte passata perbacco. La notte di Natale! Al mio paese mia moglie e mia madre saranno già in chiesa».
Un altro compagno osservò: «Guardate là, c'è una grotta. Andiamo dentro un momento, saremo riparati dal vento».
Entrarono nella grotta e il più giovane del gruppo si tolse l'elmetto, si sfilò il passamontagna e si inginocchiò in un cantuccio. Il caporale rimase all'entrata e voltò le spalle all'interno con fare superiore: ma era perché aveva gli occhi pieni di lacrime.
Il più vecchio del gruppo si tolse i guantoni, raccolse un po' di terra umida e manipolandola qualche minuto le diede la forma approssimativa di un bambinello da presepio. Poi stese il fazzoletto nell'elmetto del compagno e vi depose il Gesù bambino. Si scorgeva appena nella fioca luce delle stelle riflessa dalla neve.

Il caporale trascurando ogni prudenza tolse di tasca un mozzicone di candela, l'accese e la pose vicino all'insolita culla. Poi sottovoce uno cominciò a recitare: "Padre nostro che sei nei cieli...". Tutti continuarono e avevano il cuore grosso da far male.
Il raccoglimento durò ancora dopo la preghiera. Nessuno voleva spezzare l'atmosfera che si era creata.
Improvvisamente alle loro spalle una voce disse.«Fröhliche Weihnachten» (Buon Natale).
Una pattuglia austriaca li aveva colti alla sprovvista. Con le armi puntate stavano all'imboccatura della grotta. Mentre i soldati scattavano in piedi la voce ripeté con dolcezza: «Buon Natale ».
I nemici abbassarono le armi e guardarono la povera culla. Erano tre giovani e avevano bisogno anche loro di un po' di presepio, anche se povero. Si guardarono confusi, poi si segnarono e cominciarono a cantare «Stille Nacht», la bella melodia natalizia che tutti conoscevano.
Tutti si unirono al coro anche se si cantava in lingue diverse. Poi quando si spense l'ultima nota del canto il caporale si avvicinò a uno dei giovani nemici e gli tese la mano che l'altro strinse con calore. Tutti fecero altrettanto, augurandosi il Buon Natale. Poi uno degli austriaci trasse da dentro il pastrano una piccola scarpina da neonato. Doveva essere quella del suo bambino e se la teneva sul cuore, e dopo averla baciata la depose accanto al Bambino Gesù rimanendo per alcuni attimi in preghiera.
Poi si voltò di scatto e seguito dai compagni si allontanò voltando le spalle, senza timore, e scomparve nella notte di quel gelido Natale di guerra.
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Messaggio  Sarah Ven Nov 20, 2009 9:02 pm

UNO DEI RE MAGI
di Piero Bargellini

No, non crediate che io sia un mago da fiaba. Non ho bacchetta fatata né faccio incantesimi. Nel nostro paese, che è la Persia, mago vuol dire sapiente, cioè studioso. Anche noi avevamo molto studiato, specialmente sul libro chiamato Avesta.
Le nostre spalle si erano incurvate su quel libro. Le nostre barbe erano diventate bianche nello studio.
Il libro annunziava la venuta di un "saggio signore o, di un "vittorioso Liberatore" degli uomini.
Prima di noi, generazioni e generazioni di sapienti avevano atteso questo miracoloso personaggio, ma sempre invano.
Ormai eravamo vecchi, e temevamo di dover chiudere gli occhi senza aver visto il Liberatore. Guardavamo il cielo, in attesa di un segno annunziante la sua venuta.
Ed ecco una stella di straordinario splendore farci segno di seguirla.
Partimmo felici, montati sulle migliori cavalcature, vestiti riccamente con le corone in testa e i doni in mano.
Non sarebbe stato conveniente presentarsi a quel gran personaggio senza regali. Uno di noi prese una coppa d'oro simbolo di potenza regale, un altro prese un'anfora piena d'incenso simbolo d'onore sacerdotale, l'altro ancora prese un calice di mirra simbolo di redenzione.
La stella ci faceva da guida. Nessun corteo aveva mai potuto vantare un simile battistrada. Valicammo monti, attraversammo pianure, guadammo fiumi e incontrammo città, senza che la stella accennasse a fermarsi.
Giunti a Gerusalemme, il re Erode fu avvertito del nostro arrivo. Seppe che cercavamo il Re dei Giudei e chiese ai suoi sapienti:
- Dove dicono i libri che deve nascere il Redentore?
Anche gli ebrei avevano un libro chiamato Bibbia, dove era annunziata la venuta del Salvatore. Perciò i sapienti risposero al re Erode: - Betlem sarà la sua culla.
- Andate a Betlem, - ci disse Erode - e al ritorno mi narrerete di lui.
Riprendemmo a viaggiare, e la stella viaggiava con noi, finché non si fermò sopra una povera stalla. Trovammo il Bambino fasciato e deposto nella mangiatoia, fra due animali. Quale abbandono e quanta miseria! Il Re del mondo giaceva su paglia trita, senza corte d'attorno e senza onori.
A quella vista, la nostra sapienza si confuse. Avevamo sperato di trovare un potente Re in una reggia sfarzosa, in mezzo a ricchezze e a splendori.
Vedendo tanta umiltà ci sentimmo umiliati. Mettemmo fuori i nostri doni: oro, incenso e mirra. Il Bambino ci guardò come per accettarli, ma noi sentimmo che non bastava offrir quei soli doni. Egli non s'appagava né d'oro né d'incenso né di mirra. Voleva insieme il nostro cuore, e lo voleva ripieno di quella ricchezza che non s'estingue mai, e che si chiama Amore.
A questo Amore, che si traduce in Carità, la nostra scienza di vecchi sapienti non aveva mai pensato.
Ce lo insegnò un bambino, nato da poco, in una stalla, con un sorriso che ringiovanì il nostro vecchissimo cuore.
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Messaggio  Sarah Ven Nov 20, 2009 9:05 pm

Leggenda di Natale

di Cristoforo De Vivo





In un piccolo paese di nome Kressburg, in Germania, viveva una vecchia signora di oltre cent’anni: si chiamava Kate.
Una sera, era la sera del ventiquattro dicembre, nella piccola casa entrò improvvisamente la Morte: era passata dalla porta chiusa, silenziosamente.
Kate, che stava sferruzzando, alzò gli occhi su di lei:
e’ ora? Chiese ansiosa.
E’ ora, rispose la Morte.
Aspetta ancora un po’, te ne prego supplicò la vecchina.
Devo finire questa maglia di lana.
Quanto tempo ti occorre?
Kate diede un rapido sguardo al lavoro, fece mentalmente un breve conto e rispose:
due ore. Due ore mi bastano.
E’ troppo.
Ma io devo assolutamente finire la maglia. Tutti gli anni ne faccio una per il Bambino che nasce. E se non riesco a finirla, il Bambino avrà freddo. Non senti che gelo?
Due ore di ritardo nell’ubbidire alle leggi di Dio rispose la Morte, significano duecento anni di pene da scontarsi in Purgatorio prima di raggiungere la Pace Divina.
La vecchina ebbe uno sgomento. Ma poi scosse il capo: non importa rispose.
Il Bambino, senza maglia, soffrirebbe. Duecento anni? Pazienza.
E continuò a sferruzzare veloce, mentre la Morte, in un angolo, attendeva.
Mancavano pochi minuti alla mezzanotte, Kate alzò il capo:
sono pronta-disse alla Morte.
Uscirono insieme e s’incamminarono vicine sotto il cielo coperto di stelle.
Sulla grande strada alberata dovettero fermarsi.
Circondato da un alone di bianchissima luce, avanzava il Bambino che si recava a Betlemme.
La vecchina s’inginocchiò e, quando Egli le fu vicino, gli porse la maglia.
Il Bambino si fermò, guardò la Morte che attendeva poco discosta e chiese:
dove andate?
A scontare duecento anni di pene per raggiungere la felicità eterna...rispose la vecchina.
Il Bambino la fece alzare e rivoltosi alla Morte disse: Vattene! L’accompagno Io.
Prese per mano la vecchia Kate e ritornò indietro sulla via percorsa,
fino in Paradiso.
Poi riprese il cammino per andare a Betlemme: ma quando vi giunse era mezzanotte e cinque minuti.

Kressburg, in Germania, è l’unico paese del mondo cristiano in cui le campane suonino la gloria della nascita del Redentore cinque minuti dopo la mezzanotte.
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Messaggio  golpedesuerte Mar Nov 24, 2009 6:32 pm

Gli scarponi


Era la vigilia di Natale. Una bimbetta pallida e scarna, vestita di cenci, si aggirava per le vie luminose della citta’ chiedendo l’elemosina ai passanti che, frettolosi, neanche le badavano. Si chiamava Celestina. Era rimasta orfana a soli sette anni, e coloro che l’avevano raccolta la obbligavano a mendicare tutto il giorno e la picchiavano senza pieta’ se, rincasando, non portava un bel gruzzolo di denari. Quella sera la povera bimba, era anche piu’ triste del solito e si sentiva piu’ che mai sola ed estranea, tra quella folla lieta, tra quelle vetrine rigurgitanti di belle cose. Sapeva che quella notte il Bambino Gesu’ avrebbe portato giocattoli e dolci a tutti i bambini meno che a lei. Infatti come avrebbe potuto Gesu’ ricordarsi dell’umile Celestina, con tanti bambini che c’erano al mondo? E se poi, nella sua bonta’ divina, Egli le avesse voluto portare qualche dolce o qualche giocattolo, dove l’avrebbe deposto? Celestina non possedeva neanche un paio di scarpette da preparare sotto la cappa del camino. Pensando a questo, la bimba si trascinava di mala voglia verso la sua povera dimora, dove non c’era nessuna persona cara ad attenderla, quando, passando davanti al negozio d’un calzolaio, si fermo’. Sopra un banco stavano allineate tante scarpe d’ogni dimensione e d’ogni forma, e il padrone, di tutta quella merce, invece di sorvegliarla, stava dormicchiando in un angolo della bottega. Celestina non seppe resistere alla tentazione: con un rapido gesto afferro’ il primo paio della fila, che per combinazione erano scarponi da uomo, fuggi’ con la refurtiva, stringendosela al petto. Finalmente anch’essa avrebbe avuto un paio di scarpe da mettere sotto il camino. Senza mai fermarsi, corse, corse attraverso le strade popolose, sali’ tutto d’un fiato le scale di casa ed entro’ finalmente nella sua soffitta. Subito depose gli scarponi presso il camino spento, poi entro’ soddisfatta nella cassa da imballaggio che le serviva da letto e, rannicchiatavisi tutta, attese. Chissa’ se il Bambino Gesu’ si sarebbe ricordato quest’anno di lei? Che cosa le avrebbe portato? Forse una bambola con un vaporoso vestito di seta rosa e di pizzo, come quella che aveva visto nella ricca vetrina? Sarebbe venuto il Bambino in persona o avrebbe mandato un angelo? Ma ecco che di colpo la soffitta fu tutta illuminata da una luce abbagliante. In mezzo alla stanza si teneva ritto un angelo, con grandi ali bianche e un viso dolcissimo incorniciato da riccioli biondi. Egli teneva aperto in mano un grande registro e, dopo aver letto attentamente in esso, esclamo’:Se’, c’e’ scritto Celestina. Ed e’ qui che abita. Anche per lei ho qualcosetta. E dal suo mantello trasse fuori proprio la bambola vestita di rosa. Avvicinatosi al caminetto, stava per deporla in terra, quando vide gli scarponi. Ma come mai stanno qui queste scarpe? Certo qui c’e’ uno sbaglio. Rimise allora la bambola sotto il mantello e, dopo aver lanciato uno sguardo severo alla bimba, che dal suo lettuccio lo fissava come ipnotizzata, scomparve improvvisamente. La bimba comprese il rimprovero contenuto in quello sguardo. Aveva commesso una gran cattiva azione, impadronendosi di quegli scarponi che non le appartenevano. Come mai si era lasciata vincere dalla tentazione? Per tutta la notte la povera piccola si giro’ e rigiro’ nel suo giaciglio singhiozzando pentita. Appena fu mattina, si vesti’ in fretta, prese i malaugurati scarponi e corse dal vecchio calzolaio, che trovo’ appunto sulla soglia della sua bottega, e gli porse le scarpe rubate confessandogli piangendo la sua colpa. Poi fuggi’ via e ritorno’ nella sua soffitta. Ma qui l’aspettava una grande sorpresa. Seduta in mezzo al piano del camino, stava la bambola vestita di rosa, circondata da una grande quantita’ di dolci appetitosi.
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Messaggio  golpedesuerte Mar Nov 24, 2009 6:39 pm

Se a qualcuno può far piacere dare una sbirciatina alla casa di babbo Natale tramite una webcam ecco il link

Codice:
http://www.santaclaus.fi/?deptid=11779

E da qui invece potete vedere un video veramente molto carino

Codice:
http://www.santatelevision.com/babbonatale/en0528/en0528.html
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Messaggio  golpedesuerte Lun Dic 14, 2009 7:41 pm

I RE MAGI (di Gabriele D'Annunzio)

La notte era senza luna; ma tutta la campagna risplendeva di una luce bianca e uguale come il plenilunio, poiché il Divino era nato; dalla campagna lontana i raggi si diffondevano....
Il Bambino Gesù rideva teneramente, tenendo le braccia aperte verso l'alto, come in atto di adorazione; e l'asino e il bue lo riscaldavano col loro fiato, che fumava nell'aria gelida.
La Madonna e San Giuseppe di tratto in tratto si scuotevano dalla contemplazione, e si chinavano per baciare il figliolo.
Vennero i pastori, dal piano e dal monte, portando i doni e vennero anche i Re Magi. Erano tre: il Re Vecchio, il Re Giovane e il Re Moro.
Come giunse la lieta novella della natività di Gesù si adunarono.
E uno disse:
- è nato un altro Re. Vogliamo andare a visitarlo ?
- Andiamo - risposero gli altri due.
- Ma con quali doni?
- Con oro, incenso e mirra.
Nel viaggio i Re Magi discutevano animatamente, perché non potevano ancora stabilire chi, per primo, dovesse offrire il dono.
Primo voleva essere chi portava l'oro. E diceva: - L'oro è più prezioso dell'incenso e della mirra; dunque io debbo essere il primo donatore.
Gli altri due alla fine cedettero. Quando entrarono nella capanna, il primo a farsi innanzi fu dunque il Re con l'oro.
Si inginocchiò ai piedi del bambino; e accanto a lui si inginocchiarono i due con l'incensi e la mirra.
Gesù mise la sua piccoletta mano sul capo del Re che gli offerse l'oro, quasi volesse abbassarne la superbia. Rifiutò l'oro; soltanto prese l'incenso e la mirra, dicendo: - L'oro non è per me!
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